VILLA BARBARIGO REZZONICO

Museum

Sede Comunale visitabile

Noventa Vicentina (da “nova entia”: nuove terre), un Centro del Basso Veneto tra i Colli Berici e gli Euganei, già caratterizzato dalla presenza umana in epoca preistorica e densamente abitato in età romana, ricorda nel proprio nome la preziosa opera di bonifica attuata dopo le disastrose alluvioni dell’età longobarda che modificarono profondamente il territorio. Coinvolta duramente nelle lotte tra i Comuni e l’Impero, come tutto il Vicentino, Noventa, che dal 1404 era entrata a far parte della Serenissima Repubblica di Venezia , trova nel secolo successivo, dopo la conclusione delle travagliate vicende legate alla Lega di Cambrai (1508), le condizioni che le permettono di svilupparsi economicamente e socialmente. Nel clima di ritrovata tranquillità numerose famiglie della nobiltà veneziana, spinte dalla crisi nei traffici marittimi alla ricerca di nuovi sbocchi per i loro capitali, si indirizzano verso gli investimenti agricoli e si stabiliscono in campagna realizzando, al centro di vastissimi possedimenti, splendide ville. A Noventa facilmente raggiungibile da Venezia lungo la via fluviale che fa capo al porto di Caselle, arrivano per primi i Barbarigo, cui fanno seguito i Manin, i Loredan, gli Zenobio. Il 25 ottobre 1540, Giacomo di Andrea Barbarigo acquista per la somma di 250 ducati, una “casa con piccionaia” nei pressi della chiesa. Bisogna però arrivare al 25 novembre 1588 perché il nobile veneziano affidi a un certo “mastro Venturin muraro” l’incarico di edificare, al posto della vecchia casa, un edificio maggiormente rispondente alle ambizioni e al ruolo della famiglia, resa ancor più illustre dall’ascesa al Dogato, consecutivamente, di Marco (1485-1486) e di Agostino (1486-1501). Ne risulterà un complesso (villa padronale, barchesse, colombare) destinato a inserirsi con autorevolezza al centro del paese, e a “determinare il successivo assetto urbanistico”. L’autore del progetto è sconosciuto, tuttavia si può indicare, come fruttuoso campo di ricerca, “l’ambito artistico di Venezia gravitante attorno a Vincenzo Scamozzi”. Nel 1891, dopo una lunga serie di passaggi di proprietà, il Comune acquista la villa dai padri Armeni Mechitaristi di S. Lazzaro in Venezia, e la adibisce a residenza municipale.

La Villa Barbarigo si sviluppa in altezza per quattro piani. Quello terreno, quasi uno zoccolo ideale interrotto solo dalle due scale del pronao, sostiene il piano nobile, destinato alla vita pubblica, e il secondo piano, riservato a quella privata.Alla sommità, l’abbaino. Nelle ali un colonnato tuscanico ritma il piano nobile e sostiene il secondo, a sua volta scandito da quattro finestre cui fanno da contrappunto, nell’ultimo piano, tre finestre a rettangolo. Il corpo centrale si presenta compatto in tutto il suo sviluppo verticale. La loggia, tuscanica sotto e ionica sopra, è coronata da un frontone. La facciata posteriore. I tre corpi di fabbrica che sporgono dal prospetto posteriore, quello centrale occupato dalle scale che collegano i vari piani, e quelli laterali dai servizi, risalgono alla fine dell’Ottocento. Anche in origine la tromba delle scale si trovava al centro, ma non ne conosciamo struttura e volume. I fianchi, di ridotta profondità, fanno pensare, per la asimmetrica distribuzione delle aperture, a tempi diversi di esecuzione. Il pronao fu probabilmente aggiunto in un momento successivo. Le barchesse, ritmate dalle robuste colonne tuscaniche che reggono la trabeazione, appaiono opera di un architetto esperto e sicuro. Molto probabilmente ospitavano le abitazioni dei dipendenti della tenuta. A nord, un basso fabbricato oggi scomparso, attestato in un disegno del 1622, collegava le due torri-colombare.

Il vastissimo ciclo di affreschi, in origine esteso per 430 mq., è riconducibile a un ben preciso programma iconografico tendente a celebrare le glorie e i fasti della famiglia Barbarigo. Questa funzione appare particolarmente evidente nel piano nobile, destinato a funzioni di rappresentanza. Qui, nella sala a crociera che si apre sull’ingresso, appaiono, racchiusi tra finte colonne sotto il soffitto in legno con travi dipinte, episodi di guerra, eroiche imprese, sanguinose battaglie che ebbero i Barbarigo quali protagonisti. Nelle sale minori, oltre alla rappresentazione di vicende militari troviamo figure allegoriche celebranti la Pace, l’Abbondanza, la Sapienza, lo splendore del Nome, la fama, la Fortuna; in due sale che da essi prendono nome, si trovano i ritratti dei Dogi Marco e Agostino Barbarigo. Gli affreschi della saletta a sinistra dell’ingresso sono stati attribuiti ad Antonio Vassillacchi detto l’Aliense, quelli della sala a destra ad Antonio Foler, esecutore, assieme a collaboratori dell’Aliense, di quasi tutti gli affreschi della sala crociata di ingresso. Gli affreschi del secondo piano esprimono un gusto ricco di reminiscenze classiche, evidente nella riproposizione di alcuni tra i più celebri miti greci, quali Venere e Adone, Perseo e Andromeda, il Giudizio di Paride, Diana e Attone. Il salone, che conserva lo splendido pavimento originale in cotto, racchiude a meridione, nella ideale, trama architettonica che scandisce le pareti, due possenti figure che rappresentano Atena e Marte, attribuite, al pari della scena raffigurante Apollo e le Ninfe, a Luca Ferrari da Reggio. Scoperti e restaurati fra il 1955 e il 1957, gli affreschi risultano danneggiati da interventi ottocenteschi.

Informazioni

VILLA PALLADIANA

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